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lunedì 26 maggio 2014

Festival della Viandanza a Monteriggioni dal 20 al 22 giugno 2014

     Festival della Viandanza a Monteriggioni dal 20 al 22 giugno 2014





     Il 20 giugno a Monteriggioni il Festival della Viandanza aprirà alla sua terza edizione   fino  al 22 giugno.
Il tema sarà La via del Cambiamento “ Un festival è un viaggio, fatto di strade, di soste, di incontri, di scambi, di nostalgie e, soprattutto, di spinte in avanti. Quale cambiamento possiamo o dobbiamo mettere in atto nelle nostre vite per fare sì che ciò avvenga? A cosa rinunciare, che cosa mettere in discussione, che direzione prendere? “ 
 Il Festival del Camminare sarà unito a quello della Viandanza dalla staffetta della lentezza che partirà da Bolzano il 25 Maggio per arrivare a Monteriggioni il 20 Giugno, lungo la Via Romea Germanica, la Via Ghibellina, e la Via Sanese.
A questo Link potete trovare il programma del Festival      





   Tra gli ospiti ci sarà Italo Bertolasi, camminatore, scrittore, studioso dell’Oriente e della cultura sciamanica , Bernard Ollivier e Sergio Valzania, lo scrittore francese,autore di libri di successo come La lunga marcia. A piedi verso la Cina, Feltrinelli, dialogherà con lo scrittore e conduttore di programmi Rai sulle vie di pellegrinaggio  sul tema del cambiamento, quello suo e quello che sta alla base della sua associazione SEUIL, che si occupa del recupero di giovani a rischio esclusione sociale attraverso il cammino,Said Zarrouk  e Marina Pissarello,un nomade Saharawi, abitante del deserto, che nel deserto ha deciso di rimanere, e una donna che del deserto si è innamorata, che nel deserto ha deciso di rimettersi in gioco e Dino Mengucci, fondatore di Panta Rei, centro per l’educazione ambientale, ricostruirà 20 anni vissuti all'avanguardia, tra bioedilizia, arte, bellezza, agricoltura e formazione e presenterà con Daniel Tarozzi il progetto “accademia del Cambiamento”.

  Invece di parlare del Festival dove potete trovare tutte le informazioni al seguente sito web http://www.viandanzafestival.it/it/  vogliamo cogliere  l'occasione per condividere la delicatezza di alcune parole tratte dal libro “ Andare a Piedi, la filosofia del camminare” di Frederic Gros sul camminare a piedi,sul muoversi lentamente,che avviciniamo alla variazione della massima cartesiana : “ Mi muovo dunque Creo”.
  Infusi con il circostante ci troviamo di fronte a ciò che persiste, nella solidità e permanenza della natura. Infusione che non è annullamento ma bensì sentirsi reali, vivi, presenza e partecipazione con il circostante. Una natura non concepita come forma di guadagno, nè saccheggiata, nè violata. Per camminare serve un corpo da sollecitare, che sente e si meraviglia, due gambe e occhi per vedere. E’ cosi che Frédéric Gros nel suo libro racconta e descrive l’esperienza del cammino. Confusi, nel quotidiano ci imbattiamo in notizie che con agitazione vengono sostituite con altre notizie senza che nulla resti, un continuo movimento dove il nuovo annulla il precedente. Velocità che spesso è dimenticanza di se, degli altri, eccitazione e stanchezza. Confusi tra mode turbinanti e chiacchiere incessanti il camminare può essere un modo per ritrovarsi, Altrove, un altrove che chiede di essere pensato come prossimo e non come lontano e irraggiungibile. Fuori dal frastuono possiamo fare esperienza del reale, nel camminare dove nulla si annulla ma tutto si trasforma, e non c’è altro da fare se non avanzare. Un corpo legato al suolo passo dopo passo ci ricorda la nostra “finitudine”, come la definisce Gros, lo sperimentare la fragilità dei nostri corpi, ogni passo che il piede fa é metter radici per poi farlo salire su, siamo ben distanti dall’illusione della velocità ,abitiamo il qui e ora, la semplice gioia dell’esserci nella lentezza, nell’attenzione rivolta al presente. Come scrive Nerval bisogna uscire, andare, avanzare per ritrovare lucidità nella proliferazione dei segni.
Quando camminiamo siamo semplici sguardi. Uno sguardo che non vuole trattenere ma dare attenzione al circostante, verso un altrove, uno sguardo aperto, per scambiare, per condividere. Sollecitati dal paesaggio il nostro sguardo non è più rivolto verso un particolare ma il panorama intorno ci obbliga ad uno sguardo completo, intero. Ed è in questo essere qui e ora che ci sentiamo parte del paesaggio naturale, con lo stesso ritmo, in sintonia.  Oltre che l’esperienza della nostra finitudine sperimentiamo quella del silenzio, un silenzio attento, trasparente. Un ascolto verso ciò che non può essere riformulato ,ritradotto dal chiacchiericcio dei luoghi affollati da comportamenti normalizzati e atteggiamenti indotti del vivere in una società. Detto questo, il camminare non vuole essere un elogio alla solitudine, un camminare lentamente per libertà di respirare, di approfondirsi, straordinario esercizio di libertà. In effetti non siamo mai soli perché avviene un dialogo tra anima e corpo e nella fatica mi incoraggio. Un ritorno ad una condizione più autentica senza costruzioni e condizionamenti sociali. In ognuno con le proprie singolarità, il camminare si fa stile di vita in Nietzsche le sue marce di ore ed ore al giorno in solitudine, camminare  per lui non é come in Kant ciò che lo distraeva dal lavoro ma era l’elemento fondamentale del suo pensiero, in Rimbaud con il suo senso del camminare come fuga e rabbia, “Andiamo, forza! Non sono altro che un pedone.” Dopo aver instancabilmente viaggiato a piedi, Rimbaud, muore a trentasette anni, sul registro dei decessi dell’ospedale si legge: “ Nato a Charleville, di passaggio a Marsiglia”. Rousseau che afferma di non poter pensare, comporre, creare se non camminando , il suo homo viator, l’uomo che cammina, l’idea di un uomo naturale, che cammina per riscoprire la condizione originaria senza aspirazioni  e artifici sociali. Scrive “ Non ho mai tanto pensato, tanto esistito, tanto vissuto, mai stato maggiormente me stesso, quanto in quei viaggi che ho compiuto da solo a piedi. La marcia ha qualcosa che anima e ravviva le mie idee: non posso quasi pensare quando resto fermo, bisogna che il mio corpo sia in moto per dare l’abbrivio alla mia mente”.  E poi Thoreau , immenso camminatore, ci dice che per reinventarsi bisogna ritrovare in noi sotto lo strato della immobilità la corrente di ciò che si muove, camminare non significa ritrovarsi ma concedersi la possibilità di reinventarsi. In Gandhi dove la marcia è fondamento del suo agire, assume un valore politico di disobbedienza civile non violenta. Le sue marce erano caratterizzate dalla lentezza come energia del cambiamento. L’umiltà del camminare, dell’essere in piedi, non è umiliazione, povertà, ma autenticità. Una semplicità della marcia che permette di arrivare più in fretta all’essenziale. Wordsworth componeva camminando.
Perché camminare è osare un cambiamento è energia ,avere una mente sgombra, disponibile, una concentrazione non intellettuale ma stimolata dal movimento del corpo vivida immaginazione, è partecipazione. Presenza.




   




Nel caso siate interessati ad alcune letture sul camminare a piedi e sul viaggiare con lentezza oltre a “Andare a piedi, filosofia del camminare” di Frederic Gros ,citato sopra, suggeriamo “Alzati e cammina” di Luigi Nacci ,”Camminare una rivoluzione” di Adriano Labbucci e “L'arte del camminare” di Luca Gianotti.
     


     E' con L'elogio ai piedi di Erri De Luca che vi auguriamo Buon cammino




   Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
 





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