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giovedì 3 settembre 2015

La mirabile bellezza di Pompei. #Viaggidibaccoapompei

                                  La mirabile bellezza di Pompei.



Dov'è la tua mirabile bellezza,
o dorica Corinto? E le corone
delle tue torri e le antiche ricchezze,
i templi degli Dèi, i tuoi palazzi? Dove le tue donne,
dove le folle immense del tuo popolo?
Nemmeno un segno rimane di te,
infelicissima! Divorò tutto
a rapina la guerra. Solo noi
Nereidi, figlie di Oceano, immortali,
come alcioni, siamo rimaste a piangere
le tue sventure.

Antipatro di Sidone




“ Mentre altrove faceva giorno, colà era notte, più oscura e più fitta di tutte le altre notti, sebbene fosse rischiarata da fiamme e bagliori. Fu deciso di recarsi alla spiaggia per vedere da vicino se fosse possibile mettersi in mare; ma il mare era ancora pericoloso perché agitato dalla tempesta. Allora fu steso un lenzuolo per terra e mio zio vi si adagiò sopra, poi chiese più volte acqua fresca da bere. In seguito le fiamme e un odor di zolfo annunciatore del fuoco costrinse agli altri di fuggire e a lui di alzarsi. Si tirò su appoggiandosi a due schiavi, ma ricadde presto a terra. Secondo me, l’aria troppo impregnata di cenere deve avergli impedito il respiro ostruendogli la gola, che per natura era debole, angusta e soggetta a frequenti infiammazioni. Quando il giorno dopo tornò a risplendere (era il terzo da quello che egli aveva visto per l’ultima volta), il suo corpo fu trovato intatto, illeso, coperto dalle medesime vesti che aveva indosso al momento della partenza; l’aspetto era quello di un uomo addormentato, piuttosto che d’un morto”.

Plinio il Giovane.


Pompei sorge su un pianoro di circa 30 m s.l.m. formato da una colata di lava vesuviana a controllo della valle del fiume Sarno, alla cui foce sorgeva un attivo porto. Le testimonianze più antiche si datano tra la fine del VII e la prima metà del VI Sec. a.C quando si realizza la prima cinta muraria in tufo detto “ pappamonte” . 

Una civiltà mista nella quale erano fusi elementi indigeni, etruschi e greci, portò allo sviluppo della città. Verso la fine del V Sec. a.C le tribù dei Sanniti , scesi dai monti dell'Irpinia e del Sannio, dilagarono nella pianura dell'attuale Campania , che significa Pianura fertile, conquistando e inserendo le città vesuviane e costiere in una lega con capitale Nuceria.




In epoca sannitica Pompei riceve un forte impulso all'urbanizzazione . Verso la fine del IV Sec. a.C in seguito ad una nuova pressione di popolazioni sannitiche, Roma si affaccia nell'Italia meridionale : sistemi di alleanze e vittoriose campagne militari la renderanno, 343-290 a.C, egemone in tutta la Campania. Pompei entrò quindi come alleata nell'organizzazione politica della res publica romana, cui però nel 90.89 a.C si ribellò assieme ad altre popolazioni italiche che reclamavano a Roma pari dignità socio- politica.

Presa d'assedio dalle truppe di P. Cornelius Sulla la città capitolò e diventò colonia romana con il nome di Cornelia Veneria Pompeianorum nel 80 a.C.  Pompei fu arricchita di edifici privati e pubblici, e ulteriormente abbellita soprattutto nell'età degli imperatori Ottaviano Augusto (  27 a.C – 14 d.C )  e Tiberio ( 14- 37 d.C ) .

Nel 62 d.C un violento terremoto colpì l'intera area vesuviana . A Pompei la ricostruzione ebbe subito inizio ma prese molto tempo, 17 anni dopo quando i 24 agosto del 79 d. C l'improvvisa eruzione del Vesuvio la seppellì Pompei si presentava ancora come un cantiere aperto.

La sua riscoperta si verificò nel XVI secolo ma solo nel 1748 cominciò l'esplorazione. L'area archeologica di Pompei si estende per circa 66 ha dei quali circa 45 sono stati scavati. La suddivisione della città in regiones, quartieri, e insulae, isolati, è stata fatta da G. Fiorelli nel 1858 per esigenze di studio e orientamento. Le denominazioni delle case, quando non è noto il proprietario sono state coniate dagli scavatori in base ai ritrovamenti o altre circostanze.

Un eccezionale patrimonio di architetture,sculture,pitture e mosaici.



 All'alba, per colazione, si consumava pane e formaggio o verdure e ciò che era avanzato dalla sera precedente. Seguiva uno spuntino a metà giornata, spesso consumato nelle numerose taverne dell'epoca: il pasto era a base di focacce, pesce fritto, salsicce e anche dolciumi e frutta.
Dalle 4 del pomeriggio, nei triclìni, le sale da pranzo, si consumava la cena: dagli antipasti a base di uova e olive si passava alle portate di carne e pesce farcite, fino a dolci e frutta.
Ogni triclìnio comprendeva tre letti disposti ad 'U', su ciascuno dei quali prendevano posto tre convitati, che mangiavano sdraiati appoggiandosi sul gomito sinistro. Il posto riservato all'ospite d'onore era generalmente quello all'estrema sinistra nel letto centrale, mentre il padrone di casa si metteva a fianco, sul letto di sinistra.
Le cene erano allietate da letture e recitazioni, cantanti, suonatori e ballerini.
Dopo la cena seguivano le bevute in un triclìnio pulito.
Il vasellame da mensa consisteva in ciotole, brocche, bicchieri. Normalmente si mangiava con le mani; non esistevano forchette, ma sono stati rinvenuti cucchiai e coltelli. Per questo erano serviti ai commensali dei catini con acqua per lavarsi la mani. 
Tra i piatti particolari e costosi c'era il gàrum che qui a Pompei era prodotto ed esportato. 
Si tratta di una salamoia di pesce lasciato a fermentare al sole. Conservata sotto sale era spesso mescolata con vino, aceto o erbe aromatiche, ed era utilizzata per condire un'infinità di vivande.
Il vino era la bevanda più diffusa, sia bianco che rosso. Era tagliato con acqua e aromatizzato con miele, spezie, erbe. Una bevanda economica era la pòsca, costituita da aceto diluito in acqua.


  La giornata lavorativa sfruttava la luce del giorno, quindi per alcuni iniziava all'alba: ma le corporazioni di mestiere imponevano non più di otto ore lavorative, anche se i commercianti di articoli di lusso attendevano fino all'ultimo qualche cliente.
Presso le porte c'erano i trasportatori, muniti di calessi o di muli, che provvedevano a trasportare nella città le merci.
I negozi erano di solito a conduzione familiare, ma c'era sempre bisogno di commessi.
Non mancavano poi i venditori ambulanti che disponevano di carretti o banconi di legno.
Nell'artigianato erano impiegati gli schiavi che erano assunti in base alle loro specifiche competenze.
Tra le attività più diffuse e redditizie c'erano i fornai, gli orafi, gli argentieri, i 'bronzieri'.
Tra i lavori improvvisati, c'erano i maghi che approfittavano dell'ingenuità dei creduloni per vendere pozioni e amuleti.
Anche gli artisti erano considerati semplici artigiani: provenivano dai ceti più bassi e spesso erano stranieri.
Esisteva dunque una folla laboriosa occupata in attività ancora attuali e le strade erano invase da insegne, banchi, tendoni, cesti e merci. La città aveva panifici, un macellum, i granai del foro. 
Infine c'erano gli schiavi che erano acquistati come oggetti al Foro: presentati in piedi su un palco con una tessera in mano o un cartello appeso al collo, in cui erano riportati dati anagrafici e capacità. In città gli schiavi si occupavano dei lavori domestici. Quelli più istruiti si occupavano della contabilità del padrone o ne curavano l'istruzione dei figli.
In campagna gli schiavi attendevano al duro lavoro dei campi.
Gli schiavi migliori erano liberati dai padroni oppure si riscattavano pagando la quota che era stata spesa per il loro acquisto.

Pompei cercò di risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico con vari mezzi. 
I pozzi già nel VI sec. a.C. attingevano acqua alle falde profonde fino a 39 m, ma per la durezza del banco vulcanico essi non furono numerosi. Forse il sistema di raccolta era quello antico del secchio legato a funi o della ruota idraulica azionata a mano o con l'aiuto di bestie da soma.
Nelle case si conservava pure l'acqua piovana, che sgrondava dalle tettoie o passava attraverso un'apertura del tetto dell'atrio, il complùvium, e decantava in una bassa vasca, l'implùvium, per poi raccogliersi nella cisterna sotterranea, da cui si attingeva con secchi attraverso il pozzo. Un netto miglioramento per il rifornimento idrico venne con l'acquedotto augusteo alimentato dalle sorgenti dell'Acquaro, sul Monte Serino. L'acqua arrivava in un ripartitore, il castèllum àquae, e di qui era distribuita in tre condutture principali: sfruttando il pendio scorreva in tubazioni di piombo, interrate sotto i marciapiedi, e raggiungeva le torri idrauliche, agli incroci delle strade. Queste erano serbatoi in piombo, posti su pilastri in muratura, che fungevano da regolatori di pressione e da riserva idrica per le diverse aree della città. Il nuovo impianto favoriva ampia disponibilità d'acqua, circa 6460 m3 al giorno, e significò un sostanziale innalzamento della 'qualità della vita': i benestanti poterono permettersi nelle case addirittura ninfei e terme private, ma tutti i Pompeiani profittarono dell'acqua abbondante e fresca che sgorgava dalle quaranta fontane pubbliche.
Non c'era un vero e proprio sistema fognario, eccetto nella zona prossima al Foro. L'acqua di scarico inondava le strade fuoriuscendo anche dalla cinta muraria in alto attraverso apposite aperture. Di conseguenza i marciapiedi erano alti rispetto alla strada che bisognava attraversare grazie ai 'passaggi pedonali' costituiti da grandi blocchi di lava.




LE TERME SUBURBANE  
L'impianto  I sec. a.C – I Sec. d. C di proprietà privata  è edificato su una terrazza artificiale verso il mare , poco fuori dalle mura  : eminente per la sua scenografica posizione, fu sottoposto nei secoli a continue spoliazioni.
Al piano terra sono gli ambienti temali, con sontuose decorazioni,tra cui la piscina calda, coperta, e la piccola piscina fredda con pareti dipinte. Una cascata d'acqua sorgeva da una finta grotta ornata da un mosaico con Marte e amorini.
L'affresco dello spogliatoio del frigidarium ( sala fredda) hauna decorazione pittorica della seconda metà del I Sec. d.C , 16 pannelli che rappresentano scene erotiche tra cui quella che vede impegnate 2 donne, unica nella pittura romana.

PORTA MARINA
Situata ad Ovest, la più imponente delle 7 porte di Pompei insieme a Porta Ercolano. Si chiama cosi perché la strada che ne usciva conduceva al mare. Il circuito murario oggi visibile, impostato già nel VI Sec. a.C è lungo oltre 3.200 m. Una cortina muraria protetta all'esterno da un fossato e all'interno da un terrapieno , su cui correva il cammino di Ronda. 12 torri , numerose a nord, dove il suolo pianeggiante rendeva la città più vulnerabile assicuravano la difesa. L'entrata definitiva di Pompei nell'orbita romana , con la colonia sillana nel 80 a.C diminuì l'importanza delle mura, talora riusate o distrutte per far posto a case o terme.

TEMPIO DI APOLLO
Insieme al tempio dorico è il santuario più antico di Pompei . L'edificio mescola elementi italici . come attesta la decorazione architettonica superstite databile al 575-550 a.C., anche se l'attuale sistemazione è del II sec. a.C.

BASILICA
Fu costruita nella seconda metà del II sec. a.C., nell'ambito del progetto di monumentalizzazione della città.L'edificio era infatti adibito all'amministrazione della giustizia e alle contrattazioni economiche.


IL FORO
La prima sistemazione monumentale risale al II sec. a.C. Posto all'incrocio degli assi principali del nucleo urbano originario, il Foro era la piazza principale della città, interdetta alla circolazione dei carri: tutt'intorno sorgevano edifici religiosi, politici, economici.


MACELLUM
L'edificio, che era il principale mercato della città, risale al II sec. a.C., con successive ristrutturazioni: le basi dinanzi al portico d'ingresso reggevano statue onorarie di cittadini illustri. L'interno è una corte porticata, con botteghe:Sul fondo,  era usato per la vendita di carne e pesce,  per banchetti in onore dell'imperatore, Sulla parete Nord-Ovest sono affreschi architetture fantastiche alternate a pannelli con figure isolate, quadri di soggetto mitologico, nature morte di gusto popolare.


TEMPIO DI GIOVE
  
GRANAI DEL FORO
Il mercatino della frutta e verdura ('foro olitorio') fu realizzato dopo il 62, data del violento terremoto,  e forse non era terminato (o non era in uso) al momento dell'eruzione: prendeva il posto di ambienti porticati ed era affiancato da una grande latrina. E'ora utilizzato come deposito di materiali archeologici diversi provenienti da Pompei (anfore, elementi architettonici, arredi marmorei per giardini); vi sono esposti alcuni calchi di vittime dell'eruzione.


TERME DEL FORO
Si costruiscono dopo l'80 a.C., secondo lo schema delle più grandi Terme Stabiane: ai lati delle fornaci sono la sezione femminile e maschile, nella sequenza apodyterium (spogliatoio), frigidarium (sala per il bagno freddo), tepidarium (sala tiepida), caldarium (sala calda). Alla palestra porticata s'accedeva dalla via del Foro o dallo spogliatoio della sezione maschile. Il tepidarium non era riscaldato con moderni impianti, ma da un grande braciere bronzeo donato da M. Nigidio Vaccula: telamoni separano le nicchie per accogliere unguenti e oggetti da bagno; stucchi a rilievo (del restauro successivo al 62 d.C.) decorano la volta con partizioni geometriche e figure mitologiche. Le terme pubbliche erano poco costose e molto frequentate: l'ora del bagno sembra fosse al primo pomeriggio.


CASA DEL FAUNO

“ Oltrepassata la soglia dell'atrio si scopre con un colpo d'occhio tutta la casa. Questo atrio era dipinto a colori vivaci e variati, e pavimentato di diaspro rosso, agata orientale e alabastro fiorito. Camere da letto, sala da ricevere e sale da pranzo circondando l'atrio. Alle spalle è un giardino che doveva aver tutto disseminato di fiori; in mezzo a quei fiori sgorgava una fontana che ricadeva in un bacino di marmo. Intorno si sviluppava un portico sostenuto da ventiquattro colonne di ordine ionico, oltre le quali si scorgevano ancora altre colonne e un secondo giardino, piantato a platani e lauri, alla cui ombra sorgevano due tempietti consacrati ai dei lari. Di lì, la vista si stendeva fino alla cima del Vesuvio, di cui si vedeva salire al cielo l'eterno pennacchio di fumo.”
Alexandre Dumas (1802-1870),Il corricolo, 1841-1843.
La casa, così denominata dalla statuetta bronzea del Fauno posta al centro dell'impluvio, occupa l' intero isolato, con una superficie di quasi 3000 mq.  Questa abitazione dell'ignoto, colto e ricco proprietario è, forse, la più maestosa delle abitazioni pompeiane.


CASA DELLA FONTANA PICCOLA
L' impianto originario (inizi I a.C.) conserva il tipico schema della casa 'ad atrio', fondato sull'asse ingresso-atrio- tablino, organizzati in modo sontuoso, sicché l'ospite, appena entrato, potesse intuire lo stato sociale del padrone di casa.
Sull'atrio si aprono quasi tutte le stanze; il tetto ha falde inclinate all'interno (compluvium) per raccogliere l'acqua piovana in una vasca al centro del pavimento (impluvium) e da qui nella sottostante cisterna, da dove essa poteva essere recuperata.
Nel giardino il peristilio presenta pareti riccamente decorate ad affresco, con paesaggi ed edifici marittimi; la fontana-ninfeo, rivestita di mosaici e ornata da sculture, si diffonde a partire dalla metà del I sec. d.C..

CASA DEL POETA TRAGICO
Il nome deriva dall'emblema (riquadro) a mosaico del tablino, con la scena della prova teatrale di un coro satiresco, ora al Museo Archeologico di Napoli come pure altri quadri con Admeto e Alcesti ed episodi dell'Iliade: rimangono qui solo quelli dell'oecus (ambiente di soggiorno) raffiguranti Arianna abbandonata da Teseo ed un nido di amorini.
All'ingresso della casa è il famoso mosaico con un cane alla catena e la scritta CAVE CANEM ("attenti al cane"), tipico di altre abitazioni pompeiane: l'avvertimento è ricordato anche nelle fonti letterarie, come nel gustoso episodio del Satyricôn di Petronio, in cui il protagonista viene spaventato a morte dal grande cane dipinto.



NECROPOLI DI PORTA ERCOLANO

Una volta usciti da Porta Ercolano (anticamente chiamataVeru Sarinu, cioè la “Porta che conduce alle saline”) si entra nello spazio funerario e, in particolare, nella fascia di proprietà pubblica riservata alla sepoltura di cittadini illustri. Sul lato sud della strada, ad esempio, si trovano la tomba ad altare di Marcus Porcius (n.3), che si adoperò per la costruzione dell'Odeion e dell'Anfiteatro; la tomba a schola (sedile semicircolare) costruita per la sacerdotessa Mamia , o quella retrostante, a edicola col colonnato ionico, appartenente agli Istacidii, proprietari di Villa dei Misteri. Più avanti, fuori dal terreno pubblico, si susseguono, su entrambi i lati della strada pavimentata in epoca augustea, altre tombe monumentali alternate a tabernae e agli accessi di lussuose ville suburbane come quelle di Cicerone  e quella di Diomede , sul lato sud della strada, o quella delle Colonne a Mosaico (civici 12 e 15) sul lato nord. La necropoli, che presenta tracce di uso funerario da epoca sannitica prima ancora che romana, fu scavata da metà del XVIII secolo e il suo aspetto monumentale e romantico ispirò numerosissimi acquerelli e disegni di paesaggisti e viaggiatori.




VILLA DEI MISTERI






Il complesso è un esempio mirabile di commistione tra villa d’otium e villa rustica, appartenuta forse alla famiglia degli Istacidii, fra le più importanti della Pompei di età augustea. Presenta, secondo gli studi più aggiornati, un impianto architettonico risalente al I secolo a. C. con successive trasformazioni fino al momento dell’eruzione (79 d.C.). Il lussuoso quartiere residenziale si trova sul lato ovest e si affacciava sul mare, impostandosi su un suggestivo asse prospettico costituito in sequenza da atrio, tablino e sala di soggiorno chiusa in fondo da una panoramica esedra semicircolare fenestrata. Dal soggiorno con esedra si accede, attraverso un passaggio laterale, alla sala dei Misteri. Il nome della villa si deve agli affreschi che ornano questo triclinio.
La Sala dei Misteri è coronata da uno straordinario ciclo pittorico, grande affresco – megalographia-  con una scena di rito misterico. Ampiamente discusso dagli studiosi, occupa la fascia mediana della sala, al di sopra di uno zoccolo decorato a finto marmo che funge da podio. La scena è dominata dalla coppia divina posta al centro della parete di fondo, in cui si identificano Dioniso e Afrodite (o Arianna).
Il culmine della tensione narrativa è raggiunto nella scena rituale in cui una donna inginocchiata scopre il fallo, mentre un personaggio alato è intento alla flagellazione rituale. Presenta dei motivi miniaturistici tratti dalla pittura egiziana.


LUPANARE 

Lupa in latino significa prostituta: e questo è il meglio organizzato dei numerosi bordelli di Pompei, l'unico sorto con questa specifica funzione: gli altri erano di una sola stanzetta ovvero ricavati al piano superiore di una bottega. Al piano terra ci sono cinque stanze, come al superiore, ed una latrina: i letti, in muratura, erano coperti dal materasso. Quadretti dipinti, raffiguranti le diverse posizioni da assumere nei giochi d'accoppiamento, ornavano il lupanare. Le prostitute erano schiave, di solito greche e orientali. Il prezzo andava dai 2 agli 8 assi (la porzione di vino ne costava 1): ma il ricavato, trattandosi di donne senza personalità giuridica, andava al padrone o al tenutario (lenone) del bordello. L'edificio è degli ultimi periodi della città: in una cella l'intonaco fresco ha catturato l'impronta di una moneta del 72 d.C.

TERME STABIANE

È l'edificio termale più antico della città (II sec. a.C.), costruito su un impianto precedente (IV-III secolo), con restauri successivi. Ad Est della palestra centrale porticata sono ambienti per il bagno, divisi in una sezione femminile ed una maschile: frigidarium (sala con vasca per il bagno freddo), apodyterium (spogliatoio), tepidarium (sala tiepida),
caldarium (sala per il bagno caldo), fornaci (per produrre calore). A Nord è una grande latrina; a Ovest una piscina (natatio). Nell'ingresso e nella palestra si conservano raffinate decorazioni in stucco policromo, di poco anteriori all'eruzione del 79, con soggetti figurati e mitologici di 'quarto stile': fatto di calce e calcite, lo stucco resisteva all'umidità. Da notare il metodo per riscaldare gli ambienti: il pavimento era sostenuto da pilastrini in mattoni (suspensurae), sicché sotto restava uno spazio vuoto (hypocaustum), nel quale circolava l'aria calda prodotta dalle fornaci: essa passava anche nelle intercapedini lungo le pareti, sì da avvolgere interamente la stanza.

TEMPIO DORICO  
Il Foro Triangolare, grande terrazza naturale affacciata sulla valle del Sarno lungo il margine meridionale del pianoro su cui sorge Pompei, è una delle più antiche aree sacre dell’abitato, già in età arcaica (seconda metà del VI secolo a.C.) sede di un tempio dorico dedicato ad Atena e al culto eroico di Eracle, mitico fondatore della città.
In età tardosannitica (II secolo a.C.) il tempio dorico viene restaurato e l’intera area è oggetto di importanti interventi di monumentalizzazione, funzionali non soltanto alla pratica cultuale ma anche alla formazione della gioventù: sorgono un’edicola circolare (tholos) al di sopra di un pozzo probabilmente connesso alle celebrazioni rituali, l’imponente propileo di colonne ioniche all’ingresso della piazza a nord, il grande porticato dorico che delimita l’area sacra su tre lati, lasciando aperto quello meridionale per non ostacolare la vista del tempio dal mare e delimitando una pista per le competizioni ginniche lungo quello orientale, collegato alla vicina Palestra Sannitica. Ancora in epoca augustea (I sec. a.C.-I sec. d.C.) si assiste a interventi di rinnovamento delle strutture più antiche e all’aggiunta di monumenti onorari e cultuali, mentre nuovi rifacimenti risalgono agli ultimi anni di vita della città, in seguito ai danni del devastante terremoto del 62 d.C.

TEATRO PICCOLO 

ANFITEATRO
Costruito (circa 70 a.C.) dai duoviri Q. Valgus e M. Porcius, è tra gli anfiteatri più antichi e meglio conservati e accoglieva oltre 20.000 spettatori.
La cavea è divisa in tre settori: la ima cavea (prima fila) per i cittadini importanti, la media e la summa, più in alto, per gli altri. Spesso sulle tribune un velario proteggeva dal sole gli spettatori.
L'edificio era destinato ai combattimenti tra gladiatori. Sull'asse maggiore dell'arena si aprivano dueporte: per una entrava la parata dei partecipanti ai giochi, dall'altra erano portati via i corpi esanimi o feriti.
Nel 59 d.C. 'tifosi' pompeiani e nocerini scatenarono una violenta rissa e il 'campo fu squalificato' per dieci anni (provvedimento annullato dopo il sisma del 62 d.C.): forse il tifo mascherava il risentimento di Pompei verso Nocera, che divenuta da poco colonia ne aveva assorbito parte del territorio!


Dal 26 maggio al 2 novembre 2015 l'anfiteatro ospita la grande piramide progettata da Francesco Venezia che accoglie, al suo interno, 20 calchi delle vittime pompeiane recentemente restaurati per la mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”.
THERMOPOLIUM DI VETUTIUS PLACIDUS



Caratteristici e assai diffusi a Pompei (se ne contano 89) i thermopolia erano locali (una sorta di 'snack-bar') dove si servivano bevande e cibi caldi (donde il nome alla greca): infatti era usuale pranzare (prandium= pasto di mezzogiorno) fuori casa. La struttura tipica è semplice: un locale aperto sulla strada, con bancone di mescita in muratura, spesso decorato, in cui sono incassati i dolia (giare) per contenere la merce: talora in ambienti retrostanti ci si poteva sedere e consumare il pasto. In questo thermopolium si nota il larario (edicola) in stucco e affresco: ai lati del Genius del padrone sono i Lari (protettori della casa) e quindi Mercurio (dio del commercio) e Dioniso (dio del vino). Nella casa annessa alla bottega è interessante il triclinio decorato in tardo 'terzo stile'.
Era diffusa abitudine di consumare il Prandium fuori casa,era molto facile imbattersi a Pompei in uno spazio come questo.

CAMPAGNA ELETTORALE
Le iscrizioni di vario genere lasciate sui muri raccolgono informazioni anche sulle campagne elettorali. 
I candidati erano così chiamati per la 'toga candida' che indossavano il giorno della pubblica dichiarazione di ambire alla carica. Dovevano avere al minimo 25 anni; essere residenti nella città o nelle vicinanze; avere alto reddito ed una ineccepibile condotta morale.
I candidati facevano propaganda elettorale indicando anche sui muri il proprio nome, seguito da propositi e 'slogans' per una loro buona amministrazione, qualora fossero stati eletti. Queste iscrizioni sono facilmente riconoscibili, perché dipinte a grandi lettere rosse e nere sulle pareti, lungo le strade, e danno idea dei toni accesi del confronto per accreditarsi il favore popolare. Si ricercava l'appoggio dei 'grandi elettori', delle 'corporazioni' dei mestieri, degli abitanti di singole circoscrizioni elettorali cittadine, in un giuoco di scambi e favori, che coinvolgeva la vita dell'intera cittadinanza. I 'manifesti' erano opera di scrittori professionisti, che agivano preferibilmente di notte e talora firmavano le loro opere, come tale Emilio Cèlere, che in un manifesto si vanta di averlo realizzato da solo senza l'aiuto di collaboratori.



VITE E FRUTTI, IL VIGNETO DEL FORO  
Nella vasta area furono rilevati i calchi delle radici di circa 2400 viti con i rispettivi paletti di sostegno: la piante erano disposte su filari orientati lungo l'asse N-S alla distanza di 1,20 m l'una dall'altra e con la distanza tra filari di 1,50 m. Tale impianto seguiva le regole dettate dagli autori classici per la viticoltura che richiedeva un'esposizione soleggiata e ventilata. L'area, in cui erano anche un vano attrezzato per la vinificazione e alcuni triclini per il consumo al minuto , è stata fedelmente reimpiantata con “ Sciascinoso”  e “ Piedirosso”, vitigni entrambi conosciuti dagli antichi Pompeiani con il nome di Vitis Oleogina e di Columbina Purpurea.

I reperti provenienti dall'area vesuviana si trovano al  Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN) nella sezione le collezioni pompeiane. http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale/


Le informazioni sono state ricavate dal sito web della Soprintendenza speciale beni archeologici Pompei, Ercolano, Stabia.  http://www.pompeiisites.org/  


«Le idee che le rovine risvegliano in me sono grandiose. Tutto passa, tutto perisce. Soltanto il mondo resiste. Soltanto il tempo continua a durare. Io cammino tra due eternità. Ovunque io guardi, gli oggetti che mi circondano mi annunciano la fine e mi mettono in guardia rispetto a ciò che mi attende»

Diderot, Rovine e paesaggi






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Marianna Bandecchi 
                                                                         

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