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venerdì 18 aprile 2014

PASQUA IN BASILICATA: IL PRANZO E’ SERVITO

PASQUA IN BASILICATA: IL PRANZO E’ SERVITO!

Pasqua non è soltanto il culmine di celebrazioni religiose che cominciano con la Quaresima e si protraggono fino alla Settimana Santa. È anche la fine di un periodo di magro, o addirittura di digiuni per i cristiani più devoti, cominciato alla fine del Carnevale. Ma per tutti le celebrazioni pasquali si collocano in un importante momento di passaggio calendariale: in questo momento sta entrando la primavera, la vegetazione si risveglia e procede più speditamente verso la crescita.

La cucina del periodo di Pasqua è molto influenzata da tradizioni simboliche, tipiche di territori dove diversi e tanti popoli, culture e religioni hanno sostato per secoli.

Emblematica è la storia della cucina lucana, ancora sconosciuta e ricca di simbolismi legati agli eventi religiosi, alle festività cosmiche e alle tradizioni.

A Pasqua, in Basilicata, si usa combinare tre elementi/alimenti che configurano la sacralità della morte e risurrezione del corpo di Cristo, dove l’uomo chiede purificazione attraverso l’elemento/alimento madre, il cibo. Il pranzo pasquale è indirizzato dalla unione dei tre alimenti che compongono il sacrificio e la redenzione: l’uovo, simbolo della morte e risurrezione nella Pasqua, il formaggio, derivato dal latte, simbolo di purezza e di verginità, il verde colore dei vegetali, che Madre Terra nel periodo pasquale ci offre, quali asparagi, cardi, piselli, finocchietto o altri tipi di vegetale. Ovviamente non possiamo dimenticare l’agnello o il capretto, loro malgrado, protagonisti nelle libagioni pasquali. Il consumo rituale della sua carne è prescritto nell’Antico Testamento, e, in ogni caso, si collega alla figura di Cristo “agnello di Dio” del quale, per i cristiani, bisogna mangiare simbolicamente il corpo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo - scrive l’apostolo Giovanni - e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”.
Il menù pasquale tipico del mio paesino- Tolve (Pz)-  è il seguente:
ANTIPASTO: uovo sodo;

PRIMI PIATTI: “ u’ sc’scill’ ”, agnello con asparagi selvatici, uova e formaggio primo sale;

                           Cardoni con bollito di carne e finocchietti selvatici;



   Sc’scill



SECONDO PIATTO: carne di capretto o di agnello arrostita.

I primi piatti si mangiano accompagnati da un tipo di pane che ha diverse forme: pesce, treccia, ecc..chiamata “ masces’ ”. La “ masces’ ” può essere dolce o salata, secondo i gusti.



    Masces



Molto diffusa è la “ pizza palom’ ”, torta rustica simile al casatiello napoletano, preparata prevalentemente con formaggio, ricotta, soppressata e uova.



  Pizza Palom



DOLCI: pizza dolce (uova, latte, zucchero e scorza di limone grattugiata), calzone con ricotta, pastiera, le “ scarcedde ” o “ panaridd’ dolci ” a forma di trecce chiuse a cerchio atte a richiamare l’idea di un paniere di dolci destinati soprattutto ai bambini (per le ragazzine si preparava la medesima pasta dolce ma a sagoma di bamboline contenenti l’uovo sodo).




   Pizza dolce




    Scarcedda



Non possiamo dimenticarci della colomba che simboleggia sia il Cristo sia lo Spirito Santo.
Può essere, infatti, il simbolo di Gesù Cristo che porta la pace nel mondo agli uomini di buona volontà, ma anche il simbolo dello Spirito Santo che scende sui fedeli, grazie al sacrificio del Redentore, come insegna la liturgia del battesimo e della confermazione strettamente legata alla Pasqua.


Purtroppo è impossibile illustrare tutte le tradizioni e tutti i cibi pasquali lucani…è una realtà troppo variegata. Spero di avervi fatto venir voglia di fare un salto in questa terra meravigliosa, tanto bistrattata ma che offre davvero tanto.

Colgo l’occasione per fare a tutti voi un grande augurio di una Pasqua serena, una Pasqua che rinnovi la speranza nei cuori e faccia ritrovare il sorriso a chi l’ha perso da tempo!

Infine vi offro una chicca legata alla Pasqua tolvese..una tradizione ormai scomparsa.

Mia nonna mi ha raccontato che la notte di Pasqua, proprio al suono delle campane di mezzanotte, si prendeva un bastone di legno, lo si batteva delicatamente dappertutto e si diceva: “ Diav’l inz arrafor’ ch’a r’sort u S’gnor’ ” (diavolo esci fuori che è risorto il Signore).

Questa tradizione è ormai scomparsa dalle nostre case ma fa sempre bene ricordarla.




​              ​Ilaria Pappalardo






#Viaggiatoridelgusto

#Cucinalucana


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